Brasile e imperialismo, intervista a Raul Zibechi

L’espansionismo brasiliano, la sinistra anti-stato, i movimenti sociali.

Dopo la recensione del suo libro “Brasile Potenza”, rivolgiamo alcune domande al giornalista e scrittore uruguaiano Raul Zibechi

 
Il Brasile di oggi è un paese imperialista?

Io nel mio libro non dico che il Brasile sia imperialista, di sicuro non è più “sub” imperialista, anche se il lavoro di analisi condotto negli anni ’70 da Rui Mauro Marini rimane fondamentale. Credo che sia uno scenario aperto, in cui si osservano tratti di imperialismo, ma che per essere un progetto compiutamente imperialista deve vedere la concorrenza di molti fattori. Anzitutto la volontà del Brasile di esserlo, ma anche la disponibilità alla sottomissione dei suoi vicini, che non è affatto scontata.
Ad ora si osservano gli interessi convergenti tra lo Stato brasiliano e le imprese, la cui particolarità risiede nel fatto che la sua classe dirigente si è formata nella Scuola Superiore della Guerra, una istituzione, un think tank dell’esercito creato negli anni ’50 da Vargas. Una scuola geopolitica dove si sono formati i vertici di Odebrecht, Gerdau…

Il Brasile inoltre confina con quasi tutti i paesi del continente, da qui la necessità di stabilità della regione. In questo osserviamo sicuramente una differenza con gli Stati Uniti in decadenza, la cui l’arma per mantenere l’egemonia è l’instabilità, la guerra…
La riconferma di Dilma ha garantito che la strategia nazionale subirà poche modifiche, ma anche una eventuale vittoria di Marina Silva, che avrebbe potuto delimitare il progetto di integrazione regionale e ritardare la costruzione del banco del sud, non avrebbe stravolto i temi geopolitici di base. Nonostante la sinistra mettesse in guardia dai profondi cambi che sarebbero occorsi con la Silva al potere, la situazione sarebbe rimasta grossomodo invariata, le aziende non avrebbero certo smesso di fare pressione sul governo, la Vale, la Petrobras, avrebbero combattuto per mantenere la loro influenza.
Perché’ scrivere un libro riflettendo sull’imperialismo brasiliano con il punto di vista dei movimenti sociali?

Ho scritto questo libro anzitutto perché’ credo che l’emergere del Brasile in un contesto in cui gli Stati Uniti perdono il loro predominio sia uno scenario nuovo nella regione, uno scenario in cui i movimenti sociali hanno bisogno di riposizionarsi. C’è quindi una necessità di analizzare nuovamente il tavolo da gioco e ipotizzare quali movimenti sorgeranno e di che tipo saranno.

Per esempio io sostengo che i movimenti di carattere sindacale classico già non siano più forze antisistema, anzi che lo puntellino. E’ molto duro riconoscerlo, ma il cambiamento della configurazione di classe interna al Brasile ha significato che i sindacati non rappresentino più settori di società con interessi antisistema. Questo è vero in molti paesi della regione, ma in Brasile ciò è particolarmente evidente, dato lo strettissimo rapporto fra i potenti fondi pensione e i sindacati, che ne sono i maggiori azionisti, anche se ovviamente rimangono differenze fra i sindacati dei bancari e del petrolio e della costruzione o della carne. Inoltre stiamo parlando delle élite’ sindacali, non della base.

Ti faccio un esempio. A maggio sono stato ad un incontro in Brasile, nel Maranhão, di popolazioni che subivano le conseguenze ambientali e sociali della attività della Vale, la seconda azienda di estrazione mineraria al mondo. Un incontro importante, convocato dal Movimento Sem Terra, dalla fondazione Rosa Luxemburg…
Peccato che i padroni della Vale siano i fondi pensione dei sindacati, questione della quale i compagni non volevano parlare, perché’ è duro ammettere che ci sia una alleanza fra l’élite sindacale e il potere finanziario. Una alleanza che non riguarda solo alcune persone ma il sindacato intero, che coinvolge tutta la sua struttura. Questo è il nuovo scenario.Comprenderlo ci aiuta a delineare un quadro in cui le alleanze sociali si trasformano, come difatti è stato evidente nelle manifestazioni di giugno… Io credo sia necessario situarci politicamente in questo nuovo scenario.
Qual è il rapporto tra il Partito dei Lavoratori (PT) e il sindacato? Che ruolo ha nel controllare le proteste, che effetto ha avuto il suo ingresso nella élite?

Non si può generalizzare, occorre analizzare quei sindacati che si trovano in snodi dell’economia fondamentali e strategici per il capitale.
Il sindacato dei bancari e del petrolio operano dove si accumula la ricchezza, hanno molta forza e fondi pensione forti, che lavorano ormai con una logica “d’impresa” assimilabile a quella che si osserva alla Chrysler o alla Ford negli Stati Uniti dove i sindacati salvarono l’occupazione investendo i propri risparmi per sostenere l’azienda.

Questo potere di influenza sull’economia del sindacato potrebbe anche essere eletto come positivo, da sinistra. Anzi una situazione ideale: il Partito dei Lavoratori al governo e i fondi pensione dei sindacati che controllano l’economia…

Si, peccato che si rimanga nell’ambito di una economia capitalista. Non esiste un capitale comunista, e difatti i sindacati hanno una funzione di pacificatori sociali, come quando intervennero per addomesticare la rivolta degli operai che stavano costruendo, a Girao, la quinta centrale idroelettrica al mondo.
Io penso che i sindacati siano parte di quel dispositivo di governo creato dal PT che si fonda sul consenso passivo dei subalterni.
Per questo si sviluppano lotte nelle favelas, o i rolezinhos (“invasioni” di gruppo dei supermercati da parte di ragazzi neri per aggirare il divieto di ingresso), che sono fuori dal controllo dei sindacati, e avversate da questi.

C’è chi dice che stando vicino al governo, come succede in Uruguay, in Brasile, i sindacati abbiano ottenuto risultati che altrimenti non avrebbero raggiunto…

Io preferisco vederla al contrario, cioè i sindacati che ammortizzano le spinte progressiste che vengono dal basso, dai lavoratori. Naturalmente dipende dalla categoria. I sindacati dei professori sono combattivi, quello delle bibite è padronale. Ci sono sindacati di base che rimangono indipendenti. Sto parlando dei sindacati dell’energia, dei bancari…quelli che occupano nodi strategici nell’accumulazione di capitale.

La storia dimostra che il progetto di proiezione internazionale del brasile viene da molto lontano. Però il Partito dei Lavoratori lo ha rivitalizzato…

Si, Lula è stato un continuatore, ha aggiornato il progetto facendo il discorso dell’alleanza sud-sud contro i paesi del nord. Lula ha offerto alle aziende nazionali i suoi contatti nel mondo, ha aiutato il capitalismo brasiliano, che è naturalmente espansivo come tutti i capitalismi, a rafforzarsi. Imprese nate grazie alle grandi opere della dittatura militare, come Friboi, la maggior azienda produttrice di carne del mondo, sono state potenziate dal governo attraverso i prestiti del BNDES, il fondo nazionale di sviluppo. Quello che ha fatto il PT è stato dare alle proprie aziende un programma più strutturato rispetto a prima, elaborare la strategia nazionale di difesa…il Brasile sta iniziando a fabbricare sottomarini nucleari, caccia di quinta generazione, sta entrando nella élite, anche se con alcune difficoltà che gli USA continuano a porgli.

Ma il PT ha segnato anche delle differenze rispetto alla leadership precedente, ampliazione della élite, politiche sociali…

Senza dubbio, c’è una differenza molto grande coi governi degli anni ’90. Finora il PT ha assicurato la “pax sociale” in basso, garantendosi governabilità attraverso i piani sociali, e “in alto” ha prodotto una alleanza di interessi comuni indipendente dagli Stati Uniti nell’ambito di una integrazione regionale in cui gli interessi brasiliani si possono sviluppare. Il Sudamerica viene visto dalla élite brasiliana come il suo “hinterland”.
I piani sociali sono proprio l’elemento principale che fa parlare ad alcuni commentatori di “socialismo” in Brasile…

Io non li vedo in maniera positiva, li considero un modo per addomesticare i poveri. Tuttavia è un dibattito interessante, che troverà una risposta certa solo al termine del “ciclo della commodities”, quando i prezzi delle materie prime da esportazione, prevalentemente agricole, caleranno. In Brasile stiamo vedendo già i primi effetti di questa “frenata”, le manifestazioni di giugno 2013. Rispetto a queste le letture si differenziano ovviamente a seconda che si guardi allo Stato o ai movimenti sociali. Io guardo a quest’ultimi, e considero l’anno passato come la fine del modello progressista, perché’ il “consenso passivo dei subalterni” gramsciano si è esaurito.
Si è detto spesso che a manifestare fosse principalmente la classe media

Si, certo, ma c’è stato anche un protagonismo delle classi popolari che si è voluto ignorare, come per esempio i “rolezinhos”, i cui protagonisti erano favelados. Mi si dice: si però non si tratta di azioni politiche. Io rispondo: allora cos’è politico?

Vari militanti di base brasiliani sottolineavano come l’intervento della polizia fosse tanto più violento quanto più i cortei di studenti e classe media minacciavano di unirsi a quelli provenienti dalle favelas…

Si, è un atteggiamento deliberato della polizia. Come in Argentina nel 2001, quando la polizia non reprimeva le manifestazioni di classe media, mentre quelle dei poveri si, e infatti ci furono numerosi morti, ma tutti fra i poveri. A Rosario la Cta manifestava in centro città con i lavoratori sindacalizzati, mentre nelle baraccopoli si uccideva. E proprio in Argentina la crisi sarà più forte. Con il kirchnerismo si sta esaurendo la tolleranza verso il malcontento popolare e sta riprendendo sempre più forte la repressione sociale. Anche per questo non credo che si possa dire che l’Argentina sia “post” neoliberale. I “desaparecidos en democracia” … gli omicidi di Stato continuano, semmai la novità delle proteste brasiliane è che quando uccidono qualcuno nelle favelas adesso la gente si muove, reagisce, scende per le strade.

Tu hai definito il Brasile, assieme ad Uruguay e Argentina, un “neoliberismo di sinistra”.

Il Brasile di oggi è neoliberale, e di sicuro non è socialista. I piani sociali sono una forma di addomesticamento estemporaneo dei settori popolari, non un sintomo di socialdemocrazia.

Cos’è il neoliberismo?

Alcuni, con Emir Sader, intendono il neoliberismo come la diminuzione del ruolo dello Stato nella società, ma io penso che lo Stato non scompaia mai del tutto, rimane necessario al capitale, come adesso in Brasile, dove occupa militarmente le favelas…
Io credo che l’aspetto fondamentale del neoliberismo sia il suo essere un modello basato sulla speculazione finanziaria, sulle commodities e servizi bancari.
In Argentina ad esempio, il kirchnersimo è solo una tappa distinta del neo liberismo, non più “privatizzatore” come con Menem, ma fondato sulle commodities, il “consenso delle commodities”, come lo chiama Maristella Svampa. E’ un modello neoliberale in cui lo Stato fa sentire la sua presenza in “basso” per controllare i poveri, ma consente la riproduzione della diseguaglianza “in alto”.
Ancora tiene banco la discussione sulla morte dello Stato, tu avverti che la globalizzazione non è un processo irreversibile, che anzi si sta già rovesciando. Qual è il rapporto tra capitalismo e proiezione imperialista del Brasile?

Io credo che il capitale, incluso il capitale finanziario, che è il più volatile, non si sosterrebbe senza l’aiuto dello Stato. Lo Stato è al servizio del capitale. Può succedere che ci sia conflitto tra lo Stato e capitale finanziario, come nella crisi del 2008, pero lì lo Stato interviene per porre dei limiti al capitale. Di certo il capitale senza Stato non può funzionare.

Se gli Stati Uniti cessassero di essere nazione egemonica il capitale finanziario avrebbe molti problemi a procedere con la sua dominazione. Dall’altra parte i paesi emergenti, Cina, India, Russia non sono neoliberali, nel senso che hanno un’economia neoliberale però è lo Stato che in ultima istanza ha interesse a favorire determinate politiche. Per questo penso che sia un errore grave dire che il capitale si è autonomizzato dallo Stato, perché’ la tendenza fondamentale nel mondo è quella della concentrazione di potere in particolari stati e nelle mani di gruppi ristretti di persone, il potere finanziario non sarebbe nulla senza l’alleanza con lo Stato. Negli Stati Uniti e in Inghilterra il potere finanziario è talmente compenetrato con lo Stato che non si può più differenziare. L’industria militare lo testimonia alla perfezione. E’ sostenuta dal mondo finanziario perché’ garantisce enormi profitti, ma è anche la base della proiezione imperialistica.

L’ Unione Sovietica non era classicamente capitalista…è necessario che ci sia capitalismo per avere imperialismo?

No, vai a chiederlo agli ungheresi, ai polacchi ai tedeschi orientali…
I funzionari sovietici non erano dissimili da quelli di Pietro il grande, ci fu una grande continuità storica in termini di “burocrazia imperiale”.
La Cina fino alla morte di Mao aveva la volontà di differenziarsi dalla Unione Sovietica, in questo, da qui l’appoggio ai movimenti di liberazione del terzo mondo. Oggi tutte queste potenze hanno chiaramente interessi espansionistici.

L’unità latinoamericana si afferma sotto lo slogan della “Patria Grande”, con il Brasile leader “solidale”. E’ cosi?

Le grandi imprese brasiliane hanno bisogno di uscire dal mercato interno. Odebrecht ad esempio ha 40.000 impiegati in Angola, ed il grosso dei suoi lavori sono in tutto il continente sudamericano. Sta costruendo infrastrutture in Bolivia, Perù, Ecuador…è tornata in Ecuador, dopo che Correa l’aveva scacciata. E riceve il supporto dello Stato brasiliano, come tutte.

Se lo Stato peruviano deve costruire 20 ponti o 10 centrali idroelettriche e non ha denaro, l’unica banca importante della regione è il BNDES, che ha molto più denaro del Fondo Monetario Internazionale.
Il BNDES finanzia l’80% dell’opera, poi alla gara d’appalto vanno solo le aziende brasiliane, Odebrecht, Camargo- Correas, Andrade-Gutierrez, Oas…il pagamento da parte dello Stato beneficiario delle opere è in denaro o in concessioni energetiche.
E’ la stessa maniera in cui operavano la Banca Mondiale e l’FMI quando investivano maggiormente nella regione. Ora questo lo fa il Brasile e le sue imprese, anche attraverso la diplomazia, attraverso il fondo di investimento statale

Non confidi nel discorso di Patria Grande quindi? C’è una tensione fra i suoi obiettivi e la realtà?

Ci sono due aspetti, uno positivo e uno negativo. Da una parte questa retorica offre una alternativa al dominio Usa e del Fmi, però a sua volta serve a mascherare gli interessi brasiliani. Questo è possibile perché’ le potenze del nord e gli Usa in particolare sono in crisi, e quindi il Brasile ne approfitta.
E’ comunque meglio che le opere le faccia il Brasile e non gli Stati Uniti, però l’aspetto fondamentale non cambia. I progetti infrastrutturali, come le grandi opere, sono solo parte della logica espansiva del capitale, aiutata dai governi. Quello che vedo positivamente sono i legami tra le esperienze politiche di base.
E’ possibile una geopolitica dei movimenti sociali?

Io condivido l’analisi per cui le grandi rivoluzioni, la francese, la cinese, la russa, si produssero in periodi di grande sconvolgimento geopolitico, cioè la guerra franco-prussiana, la prima guerra mondiale, la seconda.

Le rivoluzioni non trionfano in periodi di calma e stabilità geopolitica. Come Lenin insegna, ma anche i giacobini, c’è bisogno di una rottura, uno tsunami che disorganizza gli stati e apre lo spazio per sferrare un colpo. Quando lo Stato è organizzato non ci sono possibilità per i movimenti sociali.
Io non sono ancora del tutto convinto che si possa pensare una geopolitica dei movimenti sociali, ma senz’altro è utile analizzare lo scenario geopolitico e osservare quando si presenta una crisi della dominazione sufficientemente forte realizzare degli avanzamenti sociali. In America Latina ciò successe alla fine degli anni ’90, con una forte crisi della dominazione, seppur non completa. La legittimità del sistema di partiti, dello Stato e del modello neoliberale entrarono in crisi contemporaneamente. E i movimenti avanzarono.

La perdita di influenza statunitense, la formazione del blocco Brics, forse una alleanza Russia-Cina…siamo in un momento propizio per i movimenti sociali per realizzare degli avanzamenti? Su quale terreno? Quello dei diritti? Della redistribuzione della ricchezza? Della decentralizzazione del potere?

Potrebbe esserlo. Come avverte lo storico cileno Gabriel Salazar i diritti senza potere non servono a nulla. Oggi, mentre l’offensiva contro i lavoratori è altissima, i diritti civili aumentano. E’ un pessimo scambio quello tra diritti e potere. Il welfare state ha disinnescato poteri molto importanti dei lavoratori.
Io mi concentro invece sulla capacità di costruire il potere popolare, in senso lato. Se io organizzo un servizio di salute autogestito nelle baraccopoli, quello è un piccolo esempio di potere popolare nel campo della salute, lo stesso vale per lo sport, la ristorazione…

Come dice Colin Ward insomma, non prendere il potere ma cambiare la società dal basso, aumentarne la gradazione di anarchia, di autorganizzazione, di potere popolare…

Si, io mi distanzio da Holloway e il suo “anti-potere”. L’antipotere non esiste, esiste solo il contropotere. Se osservi Buenos Aires vedi che si sono costruite migliaia di esperienze di autorganizzazione popolare uscendo dalla crisi del 2001, quella è la base politica di cui parlo.
Io lo chiamo potere popolare, è più semplice e immediato di “contropotere”, più “nostro”, più latinoamericano…
E quindi questo sarebbe un momento propizio per i movimenti sociali, data la redistribuzione dell’egemonia in atto a livello globale. Tuttavia c’è il pericolo di cadere in quella che è una caratteristica della sinistra quando guarda al mondo, voler considerare i paesi avversari degli Stati Uniti come un modello, quasi a voler distinguere tra imperialismo “buono” e “cattivo” …

Si certo, secondo questa lettura Putin sarebbe antimperialista….
Io ho una formazione marxista, leninista e maoista. Il mio orizzonte è ancora quello del dissolvimento dello Stato, come già in Marx e Lenin, per quanto difficile possa essere il raggiungimento di questo obiettivo. Quella che stai descrivendo è la tendenza dominante della sinistra attuale, in cui l’orizzonte antistatale sta scomparendo…
Io credo che la contrapposizione tra Putin e Obama sia positiva per i movimenti sociali, e che sia positivo che qualcuno freni gli yanquis. Ciò non toglie che Putin sia un despota, e che il suo obiettivo sia la dominazione, non la liberazione.
Se c’è un conflitto tra due nazioni occorre prendere una posizione politica coerente e informata, ma senza qualificare la parte che lotta contro il tuo nemico principale come rivoluzionaria.
C’è un po’ la sensazione che la sinistra europea, una volta perso un orizzonte di riferimento come quello sovietico, si sia “buttata” sull’America latina, prima gli zapatisti, adesso i governi progressisti…il rischio è che il continente venga romanticizzato, e la sua politica istituzionale esaltata acriticamente.

Dipende di quale sinistra stiamo parlando. Ce ne sono di almeno due tipi: una guarda al potere, l’altra alla gente.
Quella che stai descrivendo guarda al potere, ed entra in crisi con la caduta della Unione Sovietica.
Il Brasile è una società governata da un partito sedicente dei lavoratori, che però non è poi così dissimile dai partiti di centro-destra nell’assenza di lotta di classe dai suoi programmi.
Io posso fare la scelta di concentrarmi o su chi sta al potere, cioè il PT, o sulla lotta di classe. Io mi concentro su quest’ultima. Ci sono neri, donne, giovani, lavoratori, poveri che stanno lottando, e quello è quello che mi interessa.
C’è un problema ideologico ed etico nella sinistra. A cosa guardo? Dove sta il mio cuore?
Al governo o con la gente che lotta?
Come in Bolivia, dove gli indigeni che protestavano contro Morales erano accusati di essere “contro-rivoluzionari” …

Appunto. La polizia militare in Brasile uccide centinaia di persone tutti i mesi, tu di devi schierare o con l’uno o con l’altro. E’ la stessa polizia della dittatura, e il PT continua a servirsene, prima, durante e dopo i mondiali di calcio.

 Il nuovo nemico dei movimenti sociali sudamericani è il Brasile? In Paraguay si sono viste per la prima volta bandiere del Brasile bruciate alle manifestazioni…

Si però non è l’aspetto fondamentale…Questa ascesa del brasile non ha ripercussioni sul tipo di movimenti sociali che si sviluppano, non modifica i nemici né il tipo di lotte.
I contadini paraguaiani si scontrano con impresari brasiliani e quindi bruciano bandiere brasiliane…
Lo stesso successe con il Tipnip in Bolivia, quando la gente gridava “Evo lacchè dei brasiliani”
Però questo riguarda le imprese, il movimento rimane flessibile e distingue il piano politico ed economico. In ogni caso il punto di vista dei movimenti sociali è che il capitale è il capitale. Non ci sono capitalisti amici, neanche quelli locali.

Che effetto ha la proiezione di potenza brasiliana sui movimenti sociali del continente e sui paesi periferici?

C’è un effetto evidente sulle leadership dei movimenti sociali, in particolare dei sindacati e del movimento Sem Terra- via campesina. I quadri vanno in pellegrinaggio alla scuola Florestan Fernandez (una università popolare a 70 km da San Paolo, vicina al Movimento Sem Terra), però l’influenza sulla base è molto minore, se non assente.
A livello politico sui movimenti latinoamericani in generale in passato vi fu più influenza del Venezuela, attraverso l’Alba, che del Brasile.
Come vedi la possibilità di una solidarietà internazionale tra i movimenti brasiliani e quelli del resto del continente?

Già ci sono connessioni alla base, anche se oggi ogni movimento tende ad occuparsi dei suoi problemi locali e c’è poco coordinamento tra Brasile, Argentina, Uruguay.
In passato i forum sociali funzionavano, ce ne fu uno con 150.000 persone, anche se la metà fossero state europee c’erano sempre 70.000 sudamericani. Ora quell’influenza a livello regionale si diluisce nella vita quotidiana, nelle attività locale.

In ogni caso sono connessioni fondamentali.
Ci sono due canali importanti di coordinamento, uno è l’università e l’altro “di base”, ti faccio l’esempio delle ultime “escuelitas” tenute dagli zapatisti lo scorso anno. C’erano molti europei ma anche moltissimi sudamericani, e questo è un dato nuovo. Questo tipo di eventi permettono la contaminazione e l’incontro tra esperienze politiche di base.
Oggi sui movimenti sociali latinoamericani esercitano influenza due grandi correnti: il Movimento Sem Terra e gli Zapatisti, anche se non è un influenza organica. Sono esperienze diverse, una indigena, di potere popolare, l’altra più tradizionale. Però si tratta di una influenza indiretta, soft.
BIBLIOGRAFIA

Holloway, J. (2010). Change the world without taking power (Vol. 8). Pluto Pr.

Salazar, G., Vergara, G. S., Pinto, J., & Vallejos, J. P. (2002). Historia contemporánea de Chile. LOM ediciones.

Ward, C. (1966). Anarchism as a Theory of Organization. Anarchy, 62, 97-109.

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