Brasil decime que se siente: pillole di un mondiale brasiliano che forse sara’ argentino.

 

Vogliono questo mondiale. Lo vogliono perche’ e’ loro, si gioca in Sudamerica. E perche’ hanno il nuovo Maradona, il “giocatore piu’ forte del mondo”, Messi. Da inizio Giugno non c’e’ esercizio commerciale che non ti regali le fixtures delle partite personalizzate con il suo logo, evidenziate, ovviamente, le partite del seleccionado nacional. Gli Argentini sono arrivati a questo mondiale tutt’altro che in sordina, volevano la finale con il Brasile, battere la squadra anfitriona a casa sua. Sfumata quella, si accontentano della rivincita contro la Germania, squadra che li ha eliminati nelle ultime due Coppe del Mondo. Ecco quindi alcune pillole di quella che, volenti o nolenti, si sta tramutando in una grande epopea nazionale.

Patria o Buitres: un mondiale Kircherista Ne abbiamo gia’ scritto , in Argentina il confine tra calcio e politica e’ particolarmente labile. Il sindaco di Buenos Aires e’ l’ex presidente del Boca Juniors (ricorda qualcuno?) e piu’ che per gli accordi con le rappresentanze delle baraccopoli o per la secca del Rio della Plata e’ sulle prime pagine dei giornali perche’ guarda la nazionale con gli operai o perche’ gli chiedono se il Boca conferma Riquelme. Le partite della nazionale in tv sono gratis in tutto il paese, parte del programma “Futbal para todos” della Kirchner. Gli spot (statali e privati), sbucano da ogni parte, pompando un centrifugatore patriottico e interclassista: Messi “prodotto del nostro suolo” come il petrolio, operai e studenti come i calciatori, il papa, le Malvinas Argentinas, le Abuelas de plaza de mayo. Ogni vittoria come un calcio in faccia al giudice Griesa e ai creditori dei fondi speculativi Buitres, “Patria o Buitres” e’ il motto d’altronde. Il governo, impiastricciato nella incriminazione del vicepresidente Boudou per corruzione, intanto ringrazia per le vittorie. In piu’ la nazionale ha vinto all’esordio con la Bosnia nel “dia del padre” e ha eliminato l’Olanda a i rigori domenica ,9 luglio, giorno dell’indipendenza. Piu’ patriottici di cosi’.

I tatuaggi di Lavezzi e il dibattito femminista Anche di questo abbiamo gia’ parlato. La partita con la Nigeria porta sotto le luci della ribalta i muscoli tatuati di Ezequiel Lavezzi, assieme ai suoi scherzi al c.t. Sabella. Nulla di rilevante, se non la conferma del’attenzione spasmodica verso qualsiasi dettaglio chusma che coinvolga la nazionale. Lo que pasa pero’ e’ che si apre un dibattito a proposito della cosificazion del corpo di Lavezzi, la sessualita’ femminile e il calcio come monopolio maschile. E scendono in campo le accademiche oltre che gruppi femministi. “Sacate la camiseta, pocho” diventa allora una provocazione-manifesto per la libera espressione del desiderio sessuale al femminile, fino alla richiesta di far giocare Lavezzi senza maglietta, per un grande esperimento antropologico sul corpo maschile nudo e la comunicazione, di dimensione nazionale. Latente, rimane la dimensione di classe della bellezza stereotipata: chi e’ Lavezzi, il “pibe de barrio” grassottello e ordinario del campionato argentino o il nuovo brandificato taglio di carne argentina da esportazione?

Brasil decime que se siente”: autoanalisi nazionale col sottofondo di un coro da stadio

La canzone del mondiale e’ “Brasil decime que se siente a tener en casa tu papa’…”.  E’ come il nostro “po-po-po-po-po-po-po” solo che l’hanno scritta prima della coppa, la cantano anche i giocatori dalla prima partita ed e’ gia’ esondata in tutto il mondo come hit semi-ufficiale. Il concetto e’ semplice: l’Argentina sarebbe il padre calcistico del Brasile, battuto nell’ultimo incontro di Coppa del Mondo (1990) e detentore del calcio autentico, di Maradona mas grande que Pele’ ecc ecc. Prima si sono psicanalizzati chiedendosi che senso avesse mettere di mezzo la paternita’ dato lo scarto di coppe vinte (2 a 5), di incontri mondiali (2 a 1, un pareggio) o ufficiali (pari e patta). Poi si buttano nel vespaio del peronismo cercando di dimostrare come questo remix di “Bad Moon Rising” dei Creedence Clearwater Revival sarebbe una eradicazione del classico “Vamos vamos Argentina” del mondiale del ’78 e nuova affermazione simbolica del kirchnerismo al pari de la bajada storica del quadro di Videla. Rappresenterebbe infatti la contro-cultura della sinistra peronista degli anni ’70, non a caso rispolverata in primis dalla aggrupazione Kirchenrista “La Campora” in occasione dei discorsi di Cristina. E ora definitivamente imposta dalle barras bravas (gli ultra’) come inno della squadra, “nazionalizzando il gusto di classe” per i Creedence.

E “Seven nations army” dei white stripes che diavolo rappresentava?

Una nazionale peronista….ma non troppo. “Peron cumple, Evita dignifica”. La frase si adatta a tutte le circostanze, cambiando adeguatamente i nomi. Pero’ l’azimut di paragone nella societa’ e’ sempre quello, Peron. (Anche) questa nazionale sarebbe peronista, tanto per cambiare. E non e’ tanto per il caudillo Messi che guida tutto un popolo al riscatto mentre posa con las abuelas de plaza de mayo. Piu’ per la presenza dell’allenatore Sabella, la cui intervista con il giornale villero (delle baraccopoli)       “La Garganta Poderosa” (prima volta che un mezzo informativo del genere copre un mondiale, ottima notizia) l’ha forzato a parlare di politica, della dittatura, dell’attualita’. Scopriamo cosi’ che mostra film di impegno sociale ai giocatori, che era sostenitore di Peron, militante della gioventu’ peronista. E che ora pensa che Nestor Kirchner fosse il politico ideale. Quanto basta a definirlo il “compagno” Sabella. Piu’ che altro un Kirchnerista in piu’.

In ogni caso il c.t. il favore della gente l’ha conquistato. L’apertura del programma oficialista “6,7,8” sulla tv pubblica mercoledi’ sera era inequivocabile. Una slavina inarrestabile, incensazione ufficiale del tecnico: onore ai giocatori, ma e’ Sabella che ci ha portato qui. E l’ha fatto proprio smontando il modello “peronista” che si era andato formando attorno a Messi. Non e’ proprio un mistero infatti che da anni sia la Pulga a scegliere personalmente chi gioca, e che il capocannoniere della A italiana Tevez non sia ai mondiali proprio per questo motivo. E l’ha fatto pian piano, col basso profilo, costruendo un gruppo laddove c’era solo un comandante. Mica troppo velata l’accusa ad altri coach del recente passato. La selezione di Maradona dei mondiali 2010 ad esempio (Piu’ o meno lo stesso stile di Sabella, chi non ricorda il “Que la sigan chupando” dopo la qualificazione agguantata all’ultimo minuto?). Quella si che era puro peronismo. Maradona cumple, Messi dignifica. Appunto. E fuori ai quarti.

Lo psicologo gli ha detto. La “Messi-dipendenza” spaventa da molto, e ora la disfatta del Brasile orfano di Neymar l’ha trasformata in un incubo. Pero’ poi lo psicologo prima della semifinale gli ha detto che in fondo loro non sono come il Brasile.

Che se la Germania rappresenta collettivo, organizzazione e flessibilita’ e i carioca il gusto sudamericano per il liderismo, per un “autoritarismo pratico,” loro invece no, che alla fine sta venendo fuori il gruppo. Che se il calcio teutonico e’ calcio di tecnica e si gioca dentro al campo, mirando a giocare bene prima che a vincere, mentre quello sudamericano e’ calcio d’emozione e si gioca anche fuori dal campo, perche’ ogni tipo di aiuto fa comodo, loro stanno imparando la via di mezzo. I giocatori si sono parlati col c.t. Sabella, e hanno cambiato gli schemi. Lavezzi e Mascherano hanno distolto parte dell’attenzione da Messi, che poteva rivelarsi fatalmente eccessiva. La diagnosi serviva a caricarsi per l’Olanda, ma anche ad esorcizzare la rivincita di Italia ’90 coi tedeschi.

Patria Grande…o Mineirazo? “Cristo e’ Argentino ma Dio e’ brasiliano” recitava il cartello di un tifoso brasiliano presente al match dell’Argentina contro il Belgio, risposta del famoso detto argentino “Maradona e’ dio” (come la mitica mano). Tra papa Argentino, Messi-gesu’ Maradona-dio, e ora il “duello” tra il papa tedesco e quello argentino la confusione e’ grande sotto (e sopra) il cielo. In ogni caso Brasile e Argentina, da acerrimi e storici nemici calcistici quali sono, si scambiano colpi a suon di religione e futbol e la “Patria Grande” rimane solo sulla carta. Almeno futbolisticamente. Nonostante gli accorati appelli alla solidarieta’ verso i cugini brasiliani asfaltati senza pieta’ dai tedeschi, martedi’ sera dopo il 7-1 a Buenos Aires i caroselli erano allo stesso livello di una vittoria della nazionale. L’empatia verso le proteste sociali osservate durante i primi giorni dei mondiali non e’ mai montata da questa parte del confine, offuscata dal desiderio di giocarla, questa Coppa del Mondo, e vincere la piu’ gustosa delle trasferte.    Anzi, l’elemento di protesta fuori dallo stadio e’ confluito nella aspra critica rispetto alla tardiva e maldestra costruzione degli stadi e alla gestione generale della coppa (dagli 85 cileni esplusi dal mondiale al numero di ingressi elargiti) con un livore pari a quello che si denunciava invece legato ai vari oppositori politici, interni ed esterni, del governo di Dilma. Alla faccia della hermanidad. Ma l’epopea che piu’ ha invaso i media di tutti i tipi e’ stata senz’altro quella della carovana Celeste y Blanca diretta in Brasile, una mitologica fiumana di gente che starebbe via via ingrossandosi, attraversando il confine per far sentire la squadra come se giocasse in casa. L’intervista tipo riprende uomini fra i 20 e i 40 avvolti in bandiere argentine, appena arrivati dopo 30 ore di macchina o pulmino assieme ad altre decine di amici e disposti ad accamparsi e a sopravvivere a riso e fernet fino a che la nazionale vince. Maradona benedice “Se io fossi al loro posto, lo farei”. Il prezzo dei biglietti, come gia’ si e’ scritto rispetto al pubblico brasiliano, impone pero’ una netta cornice di classe a questa epica transumanza patriottica: quella che sorride inquadrata e’ porzione privilegiata  di una classe media che puo’ permettersi di sosteere i costi (alti) del viaggio e (proibitivi) delle entradas, anche perche’ l’unica opzione rimasta e’ il bagarino (o lo sfondamento, praticato piu’ volte). Sempre Maradona, con altri, ha provato a presentare la finale Argentina-Germania come “Patria grande vs Resto del Mondo”, con scarso successo, visto anche l’imponente battage mediatico brasiliano pro “fratelli tedeschi”, risposta al “Brasil decime que se SIETE” argentino. Nel calcio non attacca, pare.

Maradona e’ sempre lui. Si, ospite incomodo/orgoglio nazionale oppure tutte e due assieme ma il Maradona uomo e personaggio non poteva certo mancare. E non e’ cambiato. Tatuaggio di Fidel Castro e gioiellazzi fanno bella mostra dall’inizio della competizione a “De Zurda”, il programma di commento al mondiale della tv “integrazionista” venezuelana Telesur. El diego dice dall’inizio che se si sveglia vince l’Argentina, ospita Del Piero e i saluti di Lula, regala orologi della sua linea personale, litiga con la FIFA che non lo lascia entrare allo stadio. Dalla casa di Dubai si dice “a fianco del popolo brasiliano che soffre”. Di tutto un po’, come sempre. Discusso questa volta per aver chiesto quattro milioni di dollari come compenso da commentatore, rimane fedele a Cristina, di cui portava la spilla alla firma del contratto, assieme a quella di Maduro. Amico di Menem negli anni ’90 che distrussero il paese, piu’ che Kirchnerista e’ additato da molti Argentini come semplicemente “oficialista”, vicino al partito di governo peronista, qualunque sia il suo orientamento.                                                                                                                                                                       L’aspetto piu’ interessante della sua figura e’ forse pero’ uno dei meno studiati. Nell’argentina per cui il “negro” e’ l’emigrante interno, l’Argentino originario pre immigrazione europea, o al massimo paraguayo e boliviano, Maradona e’ un campione villero (di Villa Fiorito, una delle baraccopoli di Buenos Aires) e non certo “bianchissimo”, come molti nella storia della nazionale.

E se non e’ nero fuori lo puo’ essere comunque dentro, secondo l’orrenda definizione “negro de alma” che tenta di spostare il razzismo da un piano Lombrosiano a quello moralistico di una presunta malvagita’ interiore, una corruzione dell’anima (sempre che ce l’abbiano, i neri, un’anima). Mentre gli attacchi dei compagni di squadra a Balotelli facevano riflettere sull’integrazione del “nero italiano”, evidenziando come la sua “negritudine” sia una caratteristica da sbandierare all’occorrenza per appaggare il razzismo viscerale di una societa’ che non e’ disposta ad accettare “negri ribelli”, come il padrone, che mette in mostra gli schiavi migliori ma obbedienti, Maradona rappresenta la componente “altra” della societa’ argentina, quella “negra” e “villera”.

Chi e’, quindi, Maradona? E’ un “negro” che diverte il padrone finche’ fa gol-allena e vince- si comporta bene- pero si puo’ scaricare quando mette il Paese in cattiva luce con le sue scelte? E’ un simbolo, una bandiera, ma rimane un “negro”, nell’aspetto, nei comportamenti? O e’ stato “bianchizzato”? Che impatto ha avuto il suo successo planetario nella accettazione sociale di questa fondamentale componente della societa’ argentina? La prima risposta che mi danno, e forse la piu’ azzeccata, e’ che Maradona non e’ piu’ ne una cosa ne l’altra: e’ semplicemente “oltre”, quintessenza dell’argentinita’ interclassista e senza razza, il colore della sua pelle e della sua anima e’ da molto tempo solo celeste y blanco. Chissa’…

E ora? Il sollievo dopo i rigori con l’Olanda e’ una sbornia colettiva. Complice l’opalescenza di Messi l’eroe del giorno e’ il capitano Mascherano (oltre che Romero, il discussissimo portiere che pero’ ha parato due rigori mercoledi’). Fontomontaggi di “Mascheguevara” e poi “Maschefacts”, ovvero “Mascherano e’ l’unico che riesce a depositare in pesos e ritirare in dollari”, “Mascherano apre il frigo ogni 5 minuti e trova qualcosa di diverso” e cosi’ via. Niente di nuovo, una riedizione di “Chuck Norris facts” o, piu’ in piccolo, “E’ colpa di Pisapia se”. Un paragone per Mascherano? Non so, diciamo Cannavaro 2006 pero’ con la garra di Gattuso. Comunque, bordate ai cugini brasiliani a parte, la Germania fa paura. L’Argentina finora hanno vinto ogni partita giocata, al contrario dei tedeschi. Ma si dice a bassa voce, che porta piu’ sfiga delle coppe di plastica sugli spalti.

Come nel 2001, pero’ apolitico e nazionalista Fino alla semifinale i festeggiamenti in strada erano stati abbastanza moderati. Mercoledi’ invece l’accesso alla finalissima e’ stata salutata da una invasione del centro di Buenos Aires, completamente bloccato per ore. Quello che abbiamo visto per strada in Italia nel 2006, a primo acchito qualche grado Richter in piu. Su whatsapp un amico conferma “Le masse all’obelisco. E’ come nel 2001, solo che depoliticizzato e nazionalista”. Ora chiaramente la febbre sale per la partita di domenica, la quinta finale nella storia per l’Argentina. Il sociologo Pablo Alabarces dice che il mondiale non ha alcun effetto sociologico o politico, solo emotivo, e temporaneo. Si avvicina uno psicodramma collettivo o una esplosione non facilmente quantificabile. Vedremo.

EXTRA

dios es argentino
Sabella reagisce male ad un goal sbagliato e quasi si ammazza cadendo all’indietro. Lo salva’ Dio, che e’ argentino,
simpson brasil
Il tifoso brasiliano sarebbe un tantino volubile secondo gli Argentini.
BRASALEM
Si, i Brasiliani tifano Germania.

 

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